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29 dicembre 2007
Le boiate di prodi
Le cifre di Prodi (e quelle vere)
di Fausto Carioti
Una
cosa giusta Romano Prodi ieri l'ha biascicata. Quando ha ricordato a
Lamberto Dini che i governi si mandano a casa con le votazioni di
sfiducia, e non con le interviste sui giornali, gli ha rammentato una
verità lapalissiana. A 76 anni suonati il senatore ha ormai l'età per
decidere cosa fare da grande: se davvero vuole che Prodi vada a casa,
proponga una bella mozione di sfiducia, oppure voti quella che il
centrodestra farebbe bene a presentare non appena ricominceranno i
lavori parlamentari. L’annuncio, fatto ieri alla Stampa, di voler
votare la fiducia a Tommaso Padoa Schioppa il 22 gennaio, «perché a
dover essere sfiduciato è Prodi, non il ministro dell’Economia», fa
capire che Dini ha intenzione di continuare con i suoi bizantinismi e
mantenere il piede in due scarpe. Per una volta, farebbe bene invece a
seguire il consiglio di Prodi: se deve staccare la spina al governo si
decida a farlo, altrimenti smetta di minacciare gesti che poi non
compie. Per il resto, la conferenza stampa di fine anno fatta ieri da
Prodi è stata la sintesi perfetta dei dodici mesi di governo che si
stanno per chiudere: da Prozac. Nemmeno il racconto mitologico in cui
si è esibito il presidente del consiglio, quando ci ha mostrato
quell’Italia felice e vincente che purtroppo esiste solo nel boschetto
della sua fantasia, è riuscito a renderla meno deprimente.
Consapevole
di essere vulnerabile, Prodi ieri ha pensato bene di chiudere la
conferenza stampa in modo da evitare le domande di tanti giornalisti
(incluso quello di Libero) ai quali era stato invece promesso che
avrebbero potuto chiedergli conto del suo operato. Così facendo, il
premier ha mostrato anche scarso rispetto per la libertà di stampa. La
scaletta dei cronisti che sarebbero intervenuti era nota dal giorno
prima, ma l’ultima domanda che ha accettato, guarda caso, è stata
quella del fido Tg1.
Come è abituato a fare quando si sente
messo all’angolo, Prodi ha cercato rifugio dietro ai numeri
dell’economia. Ma, tra mezze verità e omissioni plateali, li ha
manipolati in modo da costruirci un Paese che non c’è. Ha detto che
grazie a lui l’Italia «si è rimessa a camminare», perché «la crescita
si attesta da due anni attorno al 2%». Non è proprio così. Quest’anno -
lo dicono le stime dell’Ocse, dell’Isae e dell’ufficio studi di
Confindustria - l’economia italiana crescerà dell’1,8%. Tanto per
cambiare (ma questo Prodi non l’ha detto) siamo in fondo alla
classifica continentale: nell’area dell’euro, in media, nel 2007 la
crescita è stata del 2,6%. Nel 2008 andrà peggio: la Commissione
europea ha previsto che l’economia del nostro Paese, come quella
dell’intera eurozona, rallenterà. Il prossimo anno cresceremo appena
dell’1,3-1,4%. Quella italiana, come ha ricordato il commissario
all’Economia, Jaquin Almunia, sarà però la crescita «più bassa della
zona euro», dove la ricchezza prodotta aumenterà invece del 2,2%. In
parole povere, siamo sempre i più lenti di tutti, continuiamo a
viaggiare a 60 chilometri all’ora quando i nostri vicini di casa, in
media, ne fanno 100, e qualcuno arriva a 130. Prodi non ha alcun motivo
per vantarsi dell’andamento dell’economia italiana.
Il segnale
concreto della «fine dell’emergenza», secondo lui, sarebbe il
contenimento del deficit pubblico, cioè della differenza tra entrate e
uscite durante il 2007, entro il 2% del prodotto interno lordo. In
realtà, tutti gli osservatori dicono l’esatto contrario: nell’anno in
corso il rapporto tra deficit e Pil dovrebbe attestarsi attorno al
2,2-2,3%, a causa dell’aumento della spesa pubblica voluto da Prodi e
dal suo governo. A meno che il ministro Tommaso Padoa-Schioppa non
abbia in mente l’ennesimo espediente contabile, non si capisce da dove
Prodi abbia tirato fuori la sua previsione.
Comunque sia, anche
in questo caso il premier pecca di omissione grave. Non dice, intanto,
che se nell’anno in corso il deficit non è esploso è stato solo grazie
alla comparsa miracolosa dei “tesoretti”, cioè a entrate fiscali
superiori alle aspettative, e all’aumento delle tasse. Nel 2006 la
pressione fiscale era pari al 42,3% della ricchezza prodotta dagli
italiani; nel 2007 è arrivata al 43%. La differenza (0,7 punti di Pil)
è pari a una spremuta da 10 miliardi di euro per i contribuenti. Prodi
omette anche di dire che se avesse usato questo maggior gettito solo
per mettere in sesto i conti, invece che spenderne una parte importante
per venire incontro alle richieste dei suoi alleati (indimenticabile
Alfonso Pecoraro Scanio quando chiese di usare il “tesoretto” per
combattere l’effetto serra), oggi la contabilità di Stato sarebbe assai
meno traballante. Altro che anno del raddrizzamento della finanza
pubblica: il 2007 è stato un’enorme occasione persa.
È
verissimo, invece, che oggi il tasso di disoccupazione italiano è il
più basso «da 25 anni, nettamente sotto la media europea». Ma anche
questa non è una medaglia che Prodi può mettersi al petto. Piaccia o
meno, la riduzione della disoccupazione è dovuta al pacchetto Treu,
varato dal centrosinistra due legislature fa, ma del quale adesso il
centrosinistra si vergogna, e alla legge Biagi, introdotta dal governo
Berlusconi, della quale Prodi disse che «ha distrutto un’intera
generazione». Insomma, o Prodi si prende i meriti della legge Biagi e
dei contratti “flessibili” che essa ha introdotto, ma allora la difende
davanti ai suoi alleati trinariciuti. Oppure continua a
criminalizzarla, ma in questo caso dovrebbe avere il buon gusto di non
andare in giro a vantarsi dei risultati che essa ha prodotto.
| inviato da mauroD il 29/12/2007 alle 10:47 | |
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28 dicembre 2007
Gli endorsement delle primarie americane
Per i democratici Hillary Clinton: Il
creatore di Playboy Hugh Hefner, il rapper 50 Cent, Barbra Streisand, il
cantante Barry Manilow e lo scrittore John Grisham, il regista Steven
Spielberg, Madonna.
Barack Obama: Gli attori Jennifer Aniston, Morgan Freeman,
Tom Hanks, Tobey Maguire, Edward Norton, Will Smith, Zach Braff, Ben Stiller,
Eddie Murphy, George Clooney, Forest Whitaker, Matt Damon e la star tv Oprah
Winfrey.
John Edwards: Gli attori Madeleine Stowe, Tim Robbins, Kevin
Bacon, e i musicisti Jackson Browne e Harry Belafonte.
Dennis Kucinich: Gli attori Sean Penn e l’editore Larry
Flynt.
Bill Richardson: L’attore Martin Sheen, e i fratelli Unser,
celebri per le corse di cavalli, Chris Dodd, l’attrice Hilary Duff, il cantante
Paul Simon.
Per i repubblicani
Rudy Giuliani: Gli
attori Robert Duvall e Adam Sandler, il telepredicatore Pat Robertson.
Mike Huckabee: L’attore Chuck Norris, Ron Paul. Il padre
di Mel Gibson, Tucker Carlson e il proprietario di bordelli del Nevada Dennis
Hof.
John McCain: Curt Schilling, il lanciatore della squadra di
baseball Red Sox, Lieberman
Mitt-Romney-MBA SMitt Romney: cantante country Randy
Owen. panorama
| inviato da mauroD il 28/12/2007 alle 13:3 | |
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28 dicembre 2007
Amsterdam, il declino continua
| inviato da mauroD il 28/12/2007 alle 11:46 | |
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28 dicembre 2007
Una morte annunciata
Dopo l’11 settembre 2001, gli Stati Uniti hanno registrato oggi in
Pakistan la loro più grande sconfitta. L’assassinio così scontato,
preannunciato e certo della “loro” Benazir Bhutto, non è infatti frutto
di scatenate bande di assassini, di oscure forze imperscrutabili, ma di
tutti gli incredibili errori che dal 1976 in poi tutte le
amministrazioni americane hanno compiuto nei confronti del Pakistan,
che si sono ovviamente moltiplicati esponenzialmente dopo le Twin
Towers.
Benazir Bhutto è tornata a inizio ottobre in Pakistan dopo una serrata
trattativa svolta in prima persona da Condoleeza Rice che puntava a
dare stabilità e un minimo di credibilità democratica al Pakistan in
cui il regime di parwez Musharraf stava crollando in un marasma in cui
corruzione e inefficacia si mescolavano a un’incredibile inefficienza
nella lotta ad al Qaida. Benazir Bhutto è stata uccisa non da uno
zotico Talebani, fanatico e suicida, ma da due espertissimi tiratori
scelti, che l’hanno colpita al collo e al petto da una moto in mezzo ad
una folla (impresa che denota una eccellente preparazione militare) e
che subito dopo si sono fatti esplodere per allungare il più possibile
i soccorsi. Una tecnica nuova, nuovissima , mai usata prima, che svela
i probabili mandanti ed esecutori dell’attentato: militari, forse
agenti dei servizi segreti, l’ Isi. In Pakistan, infatti, dal 1976
il potere è detenuto proprio da una èlite militare fondamentalista,
formatasi sui testi jihadisti di Abu Ala al Mawdudi e della sua Jamiaa
e Islami- che ha impiccato a suo tempo il “laico” Ali Bhutto –padre di
Benazir- col pieno beneplacito del democratico Jimmy Carter, che poi ha
applicato una riforma fondamentalista delle leggi (innanzitutto la
Blasphemy Law, per cui si può essere condannati a morte se si afferma
che “Cristo è figlio di Dio”, come è successo) secondo un modello
khomeinista-sunnita. Il tutto con la benedizione dei democratici come
dei repubblicani Usa. E’ stata questa èlite, per mano anche dello
stesso Parwez Musharraf, che nasce come generale eroe di guerra nel
Bangladesh, ultra fondamentalista e alleato di al Qaida, ha “inventare”
il fenomeno Talebani col fine di avere una organizzazione controllata
che facesse dell’Afghanistan una sorta di colonia pakistana. Questo
macroscopico errore di analisi e di valutazione statunitense e
occidentale, replica dell’identico errore commesso nella fucina di al
Qaida, l’Arabia Saudita, ha avuto sino al 1989 una sua qualche
giustificazione nella logica della Guerra Fredda. Purtroppo, però, ha
continuato a svilupparsi anche quando quella logica si è dissolta.
Né Bill Clinton, né George W. Bush, hanno mai compreso che il cancro di
al Qaida non nasceva in Afghanistan –che era solo una metastasi- ma nel
regime pakistano e nelle sue madrasse fondamentaliste finanziate coi
petrodollari sauditi. Da qui tutti gli errori nella caccia ad al Qaida,
prima e dopo l’11 settembre. La sera del 12 settembre Musharraf,
compreso che il gioco era andato troppo avanti, ha accettato un assegno
di 2 miliardi di dollari portatigli da Colin Powell, se ne è intascata
una buona parte e ha usato dei rimanenti per comprarsi i generali che
gli erano indispensabili, poi ha licenziato i generali più
fondamentalisti, più compromessi con al Qaida, in primis il direttore
dei Servizi Segreti –Isi- Memhood, ma ha permesso loro di fare quel che
volevano (come ha lucidamente denunciato Bérnard Henry Levy) e ha messo
il Pakistan a disposizione di Enduring Freedom. Solo apparenza. Sul
piano internazionale il Pakistan ha boicottato ogni seria possibilità
di un accordo regionale con tutti i paesi che tuttora hanno interesse a
tenere l’Afghanistan in condizione di instabilità o che pretendono di
esservi meglio rappresentati (Iran, Uzbekistan, Tajikistan e
Turkmenistan). Sul piano interno, il Pakistan di Musharraf ha permesso
che la leadership di al Qaida si muovesse indisturbata nei Territori
Tribali pakistani (il Waziristan) stipulando addirittura tregue
dannosissime per la condotta della guerra in Afghanistan. Soprattutto,
il Pakistan di Musharraf ha dato fiato e forza all’opposizione sociale
e politica dei fondamentalisti –vedi la vicenda della Moschea Rossa,
apertamente appoggiata da settori dell’Isi- e si è sempre più
sprofondato in un baratro di corruzione e inefficienza. A fronte di
una male cronico e strutturale, gli Usa hanno pensato di poter trovare
rimedio nei pannicelli caldi di una alleanza tra Musharraf e la Bhutto,
in una logica tutta di vertice, di accordi di palazzo, totalmente
slegata dalla dinamica vera della crisi in atto. Quell’alleanza
avrebbe dovuto essere imposta sei anni fa, all’insegna di un obbligo di
democratizzazione che non poteva non accompagnare la lotta al
terrorismo. Ma non fu imposta dagli Usa e oggi è andata a finire come
era prevedibile finisse. I settori fondamentalisti della èlite militare
pakistana hanno dato una mano determinante ad al Qaida per mietere uno
straordinario successo militare e politico, Benazir Bhutto, che ormai
appariva per quella che era diventata (ma che non era in origine), una
fondamentale pedina americana, è stata barbaramente uccisa e ora gli
Usa non hanno più strategia per il Pakistan. Consegnati mani e
piedi a Parwez Musharraf, ne sono ormai ostaggio (anche perché
controlla un arsenale pieno di bombe atomiche) e non sanno che fare se
non augurarsi che anche lui non venga ucciso in un attentato. Come è
probabilissimo che sia. Il cancro fondamentalista pakistano
accresce le sue metastasi e intanto, incredibilmente, l’Occidente non
riesce neanche a mettere a fuoco una diagnosi. panella
| inviato da mauroD il 28/12/2007 alle 11:32 | |
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27 dicembre 2007
Io prigioniera a teheran
Marina Nemat ha scritto un libro in cui racconta delle torture subite in iran solo perchè aveva chiesto che a scuola si insegnasse la matematica anzichè fare propaganda pro-regime, qui trovate un'intervista di cui riporto uno stralcio:Guardando all’Iran di adesso, cosa le fa più paura?
Tante
cose mi preoccupano e mi fanno paura. Ma attenzione: l’Occidente continua
erroneamente a ritenere che la causa di ogni male sia Ahamdinejad. Il vero
problema non è lui. Ahmadinejad è semplicemente un pupazzo e il Parlamento in
Iran non è libero di prendere alcuna decisione. Chi davvero governa è
l’ayatollah: è il clero a prendere qualsiasi decisione.
| inviato da mauroD il 27/12/2007 alle 12:46 | |
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27 dicembre 2007
Il sito sulle persecuzioni di putin
Lo ha creato Kasparov, l'ex campione di scacchi ed oppositore del cremlino. Per chi volesse approfondire il tema c'è sempre a disposizione l'ottimo ceceniasos
| inviato da mauroD il 27/12/2007 alle 9:30 | |
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27 dicembre 2007
Io voglio bene a quest'uomo
| inviato da mauroD il 27/12/2007 alle 9:8 | |
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24 dicembre 2007
Il problema vero è altrove
Invece di combattere tanto per l'abolizione della pena di morte bisognerebbe combattere prima il vero male, cioè la mancanza di libertà. Se riuscissimo ad imporre la libertà sessuale, di parola, di fede, cioè concetti molto più universali e indiscutibili, ecco che i veri tumori del mondo (arabia saudita, iran, corea del nord, cina, cuba, ecc...) sarebbero veramente alle strette. E invece succede che Mohammad Javad
Larijani (segretario iraniano del quartier generale per i diritti umani) in risposta alla moratoria sull'abolizione della pena di morte usa toni quasi condivisibili per attaccarla:''Una decisione politica, che mostra l'ostilita' dei Paesi occidentali
verso il mondo dell'Islam'' ''certi Paesi non hanno il diritto di imporre la loro visione a tutti
gli altri Paesi e trasformare questo argomento in un fatto
ideologico'' ''La pena di morte nel nostro Paese e' un fatto
accettato'' ''Se il problema sono gli errori giudiziari
allora nessuna pena dovrebbe essere applicata''
| inviato da mauroD il 24/12/2007 alle 8:50 | |
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23 dicembre 2007
Lega razzista
Il V rapporto CNEL dice che Treviso si colloca al sesto posto per l'indice d'integrazione degli immigrati (non serve ovviamente ricordare che ai primi posti ci sono ci sono tutte province del nord dove la Lega Nord ha un peso consistente).

| inviato da mauroD il 23/12/2007 alle 13:50 | |
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